L’ascesa ai crateri sommitali dell’Etna non è un’escursione come le altre. Pedalare sulle pendici del vulcano attivo più alto d’Europa è un’esperienza unica, non paragonabile a nessun itinerario già percorso in mountain bike, e questo non solo per la difficoltà tecnica o per la suggestione che può dare salire sopra qualcosa di “vivo”, ma anche per la storia e per le leggende che sono racchiuse in esso che, una volta conosciute, consentono di vivere un’esperienza a tutto tondo col vulcano.
La salita asfaltata dal versante sud-est dell'Etna fino al Rifugio Sapienza (circa 1.900 m s.l.m.) parte dalla costa catanese, ed è classificabile come salita lunga e dalle medie pendenze; presenta un dislivello di circa 1.850 m con pendenze medie del 6-7% ed è una delle salite più dure del Centro-Sud Italia. Oltre il Rifugio Sapienza la salita prosegue tortuosa su terreno sterrato per altri mille metri di dislivello fino alla Torre del Filosofo (2900 m circa); unendo i due tratti, si ottiene complessivamente la salita con il più elevato dislivello in Europa assieme al Pico del Veleta. Altri due versanti di ascesa sono sul lato sud fino all'osservatorio astronomico e sul lato nord-est da Linguaglossa fino a Piano Provenzana.
L’escursione descritta riguarda il solo tratto sterrato dal Rifugio Sapienza fino alla Torre del Filosofo.
Traccia GPX
Altitudine
Velocità
Il percorso.
Il percorso dell’ascesa ai crateri sommitali inizia dal piazzale del Rifugio Sapienza a 1900m di altitudine e segue la pista sterrata che parte dalla sbarra di ingresso della Funivia dell’Etna sviluppandosi in 4km circa di tornanti fino al piazzale del Piccolo Rifugio dove termina la Funivia, dal quale partono i mezzi gommati turistici alla volta della Torre del Filosofo a quota 2850m seguendo un percorso meno tortuoso ma con gli ultimi tratti a forte pendenza. Il fondo è costantemente caratterizzato dalla presenza di sabbia e pietre ed al di fuori delle tracce lasciate dai mezzi gommati non consente una presa costante degli pneumatici. La pendenza media dell’intero percorso è del 10.8% il che, a fronte dei circa 8,7km totali, inserisce la salita nella Hors Categorie. Questo, unitamente al tipo di fondo sdrucciolevole e spesso inconsistente, ed alla difficoltà di respirazione tipica dell’alta montagna, la rendono particolarmente impegnativa e indicata ad escursionisti ben allenati.
Appena inizia la salita, la pendenza è impegnativa e facciamo subito conoscenza col tipo di fondo che ci costringerà a trovare il giusto compromesso fra trazione e pressione delle gomme (sia anteriore che posteriore) sgonfiando per quanto possibile. Sulla nostra destra vediamo i Crateri Silvestri Superiori, sopra di noi si muovono silenziosamente le cabine della Funivia dell’Etna che tagliano in linea retta il nostro percorso ricco di tornanti. Dopo circa 4km arriviamo allo spiazzale del vecchio Piccolo Rifugio, dove arriva la funivia e da dove partono i mezzi gommati che portano i turisti verso i crateri sommitali. Il via vai dei mezzi è frequente, e solleva un discreto polverone che disturba la nostra pedalata. Da questo punto in poi la salita è meno tortuosa ma nel tratto finale la pendenza è davvero elevata, ed in accoppiata col fondo inconsistente ci costringe a scendere dalla mountain bike e spingere per qualche centinaio di metri, facendo attenzione al fondo che è sdrucciolevole anche a piedi. A circa metà della salita verso Torre del Filosofo costeggiamo i crateri Pian del Lago e Cisternazza e sulla destra vediamo le delimitazioni della terrazza naturale che si sporge sull’immenso abisso della Valle del Bove (che osserveremo poi nella fase di discesa).
Alla fine della salita sterrata ci troviamo in un piccolo piazzale, meta dei furgoni gommati, che è tutto ciò che rimane del vecchio sito della Torre del Filosofo, inghiottita dalle eruzioni precedenti. Tutto attorno è ricoperto dalla sciara delle colate laviche ma la nostra attenzione è certamente attratta dal Nuovo Cratere di Sud Est, che sovrasta il sito e che è in continua fase di emissione di gas e ceneri producendo rumori sordi e discontinui. Di fronte a noi sono a portata di escursione i Crateri Barbagallo, formatisi dopo l’eruzione del 2002, visitabili sia sul crinale che sul fondo anche in sella.
Dopo la visita ai crateri, inizia la discesa, altrettanto impegnativa per il tipo di fondo. Una volta arrivati presso la terrazza sulla valle del Bove usciamo brevemente fuori pista, dove la sabbia è parecchio più profonda, giungendo presso un punto panoramico dal quale si può realmente apprezzare la vastità della valle, che accoglie le colate laviche dei crateri sommitali e consente di apprezzare l’altezza raggiunta: lo sguardo spazia dallo Stretto di Messina fino alle coste dello Jonio. Tornando sulla pista battuta, riprende la discesa verso il rifugio Sapienza, con un rapido susseguirsi di tornanti con vista mozzafiato dalla piana del Simeto fino ai monti Iblei.
Dal rifugio Sapienza, volendo completare l’escursione ai crateri, attraversando la SP92 si possono esplorare i Crateri Silvestri Inferiori, con dei colori marziani ed una vista ancora coinvolgente sulle valli sottostanti.
Nel seguito, alcuni approfondimenti utili a preparare l’escursione, sotto l’aspetto tecnico, paesaggistico, storico, medico con spunti raccolti da diverse fonti sul web.
- Torre del Filosofo
- I crateri Barbagallo
- L’equipaggiamento
- L’ossigenazione ad alta quota
- La geografia
- Il clima e l’ambiente
- La formazione dei crateri
- Le eruzioni notevoli
Torre del Filosofo.
Alla base dei crateri sommitali del vulcano, a quasi 3000 metri sul livello del mare, si trova un luogo amato da Empedocle, filosofo e politico di Sicilia. Si racconta che l’agrigentino visse qui, costruendo una dimora, poiché amava il contatto con la natura. Tra i suoi desideri vi era quello di diventare tutt’uno con la superficie dell’Etna, mescolandosi ad acqua, terra e aria. Empedocle studiava i fenomeni eruttivi e si lasciava affascinare, ma quella stessa natura da lui tanto amata, secondo la leggenda, gli diede anche la morte. La leggenda vuole, infatti, che morì precipitando dentro un cratere del vulcano. Intorno a questa vicenda sono sorte molte storie, ognuna delle quali racconta versioni differenti della morte. Secondo Ippoboto, «Egli, levatosi, si diresse all’Etna e, giunto ai crateri di fuoco, vi si lanciò e scomparve, volendo confermare la fama che correva intorno a lui, che era diventato dio. Successivamente fu riconosciuta la verità, poiché uno dei suoi calzari fu rilanciato in alto; infatti, egli era solito usare calzari di bronzo». Quel che è certo è che Empedocle ispirò la Torre del Filosofo. Nel 1960 fu costruito un rifugio dedicato all’agrigentino e anche la zona venne chiamata così. Purtroppo oggi non rimane nulla di quell’edificio, perché le eruzioni hanno seppellito tutto. Non mancano, però, i curiosi che vogliono visitare la località e immaginare la loro versione sul destino di Empedocle.
I Crateri Barbagallo.
I crateri Barbagallo si formarono in seguito all’eruzione del 2002. La grande eruzione, durata dal 27 ottobre al 29 gennaio 2003, è stata denominata l’eruzione perfetta. Essa è da considerarsi tra le più esplosive degli ultimi 100 anni. È da considerarsi anche la più distruttiva dal punto di vista infrastrutturale. Nella notte del 26 ottobre 2002 una forte scossa sismica avviò la fase eruttiva, che distrusse tutta la zona turistica di Piano Provenzana sul versante Etna-Nord in località di Linguaglossa. Tutte le infrastrutture turistiche-ricettive e sportive furono ricoperte dalla colata lavica, che in una nottata azzerò trent’anni di investimenti e progetti di una intera comunità. Le ferite della colata sono tuttora visibili non appena si raggiunge la località Piano Provenzana, dove uno scenario lunare ha preso il posto del un paesaggio che offriva la vista della pineta incastrata ai piedi dell’enorme montagna.
Guide dell’Etna di padre in figlio, dall’ inizio dell’Ottocento sino al 1977, il primo si chiamava Alfio Barbagallo, nacque nel 1801 e diede il via alla dinastia che divenne un punto di riferimento per tutti gli illustri visitatori desiderosi di conoscere le bellezze della montagna etnea. Ad Alfio successe Giuseppe Barbagallo – attivo nella seconda metà dell’Ottocento – e poi ancora suo figlio Alfio, per finire con Vincenzino, nominato aspirante guida nel 1925. L’Etna attrae i viaggiatori dell’Ottocento e d’inizio Novecento, ma suscita anche preoccupazione e inquietudine. I Barbagallo sono lì, pronti a dare conforto e aiuto, mettendosi in testa alla fila ed ascoltando il respiro dei loro clienti, per capire se vanno in debito di ossigeno avvicinandosi ai tremila metri. Sono fra i fondatori di quelle che è considerata la prima associazione di guide alpine italiana, mentre già nel 1875 viene istituita a Catania una sezione del Club alpino italiano. Vincenzino Barbagallo nasce nel 1909 ed è già ufficialmente sul campo nel 1925: di lì a poco viene anche nominato custode dell’osservatorio vulcanologico, allora esistente a quota 2900, entrando così alle dipendenze della Regia Università con la qualifica di bidello, ma con la mansione assolutamente singolare di raggiungere in ogni stagione quell’avamposto d’alta montagna, dove raccogliere dati meteorologici. Durante il ventennio fascista l’Etna è sempre presente nei cinegiornali dell’istituto Luce.
Luogo simbolo di un mito italico, il vulcano diventa teatro di piccole e grandi imprese amplificate dal regime. Le guide vengono tenute in grande considerazione e Vincenzino ottiene la segnalazione per andare a seguire un corso di perfezionamento militare in alta montagna. Negli anni Cinquanta viene incaricato per qualche anno di gestire il rifugio Sapienza a quota 1900, dove termina “l’autostrada” Nicolosi-Etna. E quando gli spazzaneve si fermano qualche chilometro prima del rifugio, impedendo così ai torpedoni di turisti di raggiungere i campi di sci, con indubbio senso della notizia mette due belle ragazze con l’attrezzatura sciistica su un carretto siciliano trainato da un mulo e manda la foto a tutti i giornali con la didascalia “carro-seggiovia per il rifugio Sapienza”. Negli anni Sessanta mancarono le grandi eruzioni, ma per i giornalisti, che di lui si occupavano assiduamente, era il “Ciclope dell’Etna”, il “guardiano dei crateri”. A Vincenzino Barbagallo si rivolgeva il professor Rittmann, lo scienziato svizzero allora direttore dell’Istituto vulcanologico, per raccomandargli di dare il benvenuto a studiosi italiani e stranieri. Divenne amico di Haroun Tazieff: il vulcanologo francese protagonista di tante polemiche con i colleghi siciliani. Tazieff venne nominato ministro della Repubblica ai tempi di Mitterand, ma quando poteva scriveva al “Caro Vincenzino”, mentre si trovava in giro per il mondo a caccia di colate. Nelle interviste Barbagallo raccontava dell’Etna come di una donna amata, per la quale si era spesa una vita intera. Colpiva i suoi interlocutori spiegando che una volta venne raggiunto da una piccola bomba vulcanica su una spalla che gli spaccò una clavicola, ma non riuscì a considerarla un’offesa dalla sua Etna, quanto un bacio – a suo modo – dalla creatura amata. Organizzatore di gare di sci negli anni Cinquanta, Vincenzino riuscì a portare sulle piste del vulcano anche il campione olimpico Zeno Colò, che venne però squalificato per una scritta pubblicitaria che portava sulle scarpe. Altri tempi. Appassionato cine-operatore, nel 1971 fece confluire le sue immagini in un documentario didattico intitolato “Anatomia di un vulcano”. Ma il 1971 fu anche l’anno della distruzione dell’osservatorio. Raccontano che continuò ad aggirarsi in mezzo a quelle spesse mura di pietra fino a quando la lava non riuscì a penetrare da tutte le parti. Poi si spostò su una collinetta lì vicino e rimase ad osservare il crollo del “suo” osservatorio, come se fosse l’agonia di un essere umano.
L’equipaggiamento.
Trattandosi di un’escursione in alta montagna, la prima cosa di cui preoccuparsi sono le previsioni meteo. Il clima sull’Etna è molto variabile, spesso con repentine variazioni di temperatura e vento che non consentono di farsi trovare impreparati, quindi è indispensabile verificare bene le previsioni nei giorni precedenti l’escursione, meglio se con il supporto di qualcuno che conosca bene la zona. In linea di massima, nel periodo da fine maggio a fine agosto, l’alta pressione tipica della zona (grazie alla presenza stabile a queste latitudini dell’anticiclone della Azzorre) garantisce un clima stabile, ma basta una minaccia di nuvolosità o vento per rovinare il progetto dell’ascesa che in quel caso è meglio rinviare. Nei periodi freddi, la zona sommitale, già a partire dal rifugio Sapienza è coperta di neve, quindi inadatta ad un tipo di escursione pedalata.
Lungo il percorso ovviamente non sono presenti sorgenti e, a meno di non voler acquistare dell’acqua al rifugio o presso il terminal della funivia, saremo costretti a portare con noi circa 1,5-2 litri d’acqua (a seconda della temperatura). Nel periodo molto caldo è opportuno avere anche una protezione solare contro le scottature. Poiché la zona è quasi priva di vegetazione, non si ravvede la necessità di repellenti contro gli insetti, a meno di allergie specifiche.
Per quanto riguarda il mezzo meccanico, la sabbia silicea dell’Etna è un prodotto molto abrasivo, per sarebbe meglio non ungere troppo la trasmissione, magari usando prodotti a base di grafite. Comunque, a fine escursione, è bene operare un profondo lavaggio della mountain bike per togliere i residui di sabbia lavica soprattutto da catena, pignoni e pulley. La pressione delle gomme è uno dei punti critici dell’escursione: la presenza di sabbia, a volte profonda diversi centimetri, suggerisce di usare pressioni molto basse, che però normalmente favoriscono la pizzicatura sulle pietre appuntite presenti sul percorso. La configurazione ottimale prevede gomme larghe (2,3” e oltre) molto tassellate sul posteriore, con una mousse di protezione al posto della camera d’aria e con lattice antiforatura; in tal modo si possono portare le gomme anche ad 1 bar di pressione senza temere le pietre (grazie alle mousse) e comunque saremmo protetti dal lattice per le piccole forature (spine o altro). In presenza di gomme tubeless, il kit di riparazione con mastice e vermicelli di gomma è fortemente consigliato. In discesa i freni verranno molto sollecitati, per cui è opportuna una verifica dell’efficienza delle pastiglie dei freni a disco.
L’abbigliamento è variabile in funzione delle temperature, tenuto conto che nel passaggio dai 1900 ai 2900m ci sarà una escursione termica variabile di 5-8°C in funzione della giornata. Un giubbotto antivento e delle protezioni per la discesa (goliera, bandana, guanti lunghi) sono consigliati se si scelgono periodi limite (maggio o settembre). E’ opportuno avere anche un sistema per il monitoraggio del battito cardiaco.
L’ossigenazione in alta quota.
Un altro parametro importante nella valutazione della difficoltà dell’escursione ai crateri sommitali dell’Etna, è la ridotta ossigenazione del sangue. Le caratteristiche peculiari del clima di alta montagna possono essere così riassunte:
aumento delle radiazioni solari radiazioni solari e della ventosità, riduzione della pressione atmosferica, riduzione della pressione parziale dell’ossigeno, riduzione della densità e dell’umidità dell’aria.
Contrariamente a quello che normalmente si può pensare, l’aria di montagna non contiene meno ossigeno. L’ossigeno (21%) presente nella miscela gassosa che compone l’aria che respiriamo in altura è presente nella stessa percentuale di quella che inspiriamo al livello del mare, cambia però la pressione parziale che si riduce notevolmente con l’aumentare della quota e quindi causa un minore passaggio di ossigeno nei polmoni. La ridotta presenza di ossigeno nel sangue (ipossiemia) causa una insufficiente ossigenazione dei tessuti e degli organi. La pressione parziale di ossigeno nell’aria varia in modo inversamente proporzionale all’aumento della quota, risentendo solo marginalmente della temperatura e dell’umidità dell’aria, passando da circa 160 mmHg a livello del mare a circa 110 mmHg a 3000 m, portando la saturazione di ossigeno nel sangue dal 98% al 90%.
Cosa succede quando ci alleniamo in quota? Perché quando ci spostiamo in alta quota fatichiamo a respirare? Va ricordato che la respirazione consiste nello scambio di gas (O2 e CO2) tra sangue e tessuti. All’aumentare dell’altitudine vi è una minor quantità di ossigeno che ad ogni respirazione raggiunge i nostri polmoni (a causa della riduzione della pressione atmosferica); il sistema circolatorio porta meno ossigeno ai tessuti muscolari, con progressivo calo di efficienza dell’organismo.
Per il nostro corpo ciò si traduce in un aumento della frequenza cardiaca a riposo ed una crescita dei valori pressori con conseguente adattamento endocrinologico generale. Il nostro organismo in alta montagna impara a compensare la minore concentrazione d’ossigeno (ipossia) con un incremento della profondità del respiro e della frequenza respiratoria (iper-ventilazione). La comparsa di un lieve stato di affanno durante l’esecuzione di uno sforzo fisico è pertanto una condizione normale.
Il cuore, come risposta all’ipossia, aumenta la frequenza dei battiti e il volume di sangue pompato (portata cardiaca). Questo meccanismo di compensazione, fornisce una maggiore quantità di sangue ossigenato ai tessuti periferici. In caso di permanenza prolungata in alta quota, l’aumento della portata cardiaca si riduce nei giorni seguenti senza tornare, però, agli stessi valori presenti a livello mare.
L’aria in altitudine è più fredda e più secca, lo sforzo, se breve, è più piacevole, ma aumenta la perdita di acqua con aumento del rischio di disidratazione se i liquidi non vengono reintegrati. Il freddo produce vasocostrizione (per ridurre le perdite di calore), brividi e tremori (per produrre calore, con relativo aumento del metabolismo e consumo di energia) quindi la scelta dell’abbigliamento è importante. In altitudine è importante assumere la giusta quota di carboidrati nella dieta quotidiana: deve essere pari al 60/65% per cento dell’insieme delle calorie. In ipossia l’organismo richiede da solo più carboidrati perché deve mantenere basso il fabbisogno di ossigeno.
A molti la quota dà fastidio, almeno fino a quanto non si acclimatano. Chi sale con rapidità sopra i 2.500 può presentare fastidiosi disturbi, di solito transitori (cefalea, perdita dell’appetito, nausea e vomito, vertigini), che scompaiono dopo due o tre giorni di acclimatazione. Si chiama Mal di Montagna.
La geografia.
L'Etna (o Mongibello) è un vulcano della Sicilia originatosi nel Quaternario ed è il più alto vulcano attivo terrestre della placca euroasiatica. Le sue frequenti eruzioni nel corso del tempo hanno modificato, a volte anche profondamente, il paesaggio circostante e in tante occasioni hanno costituito una minaccia per gli insediamenti abitativi nati alle sue pendici. Dal 21 giugno 2013 l’UNESCO ha inserito l'Etna nell'elenco dei beni costituenti il Patrimonio dell'umanità.
Con un diametro di oltre 40 chilometri e un perimetro di base di circa 135 km, occupa una superficie di 1265 km². La sua altezza varia nel tempo a causa delle sue eruzioni che ne determinano l'innalzamento o l'abbassamento: nel 1900 la sua altezza raggiungeva i 3.274 m. s.l.m. e nel 1950 i 3.326 m.; nel 1978 era stata raggiunta la quota di 3.345 m e nel 1981 quella di 3.350 m. Dalla metà degli anni '80 l'altezza è progressivamente diminuita: 3.340 m nel 1986, 3.329 m nel 1999. Le più recenti misure, effettuate a luglio 2018 da due squadre indipendenti con GPS ad altissima risoluzione, hanno rivelato che l'altezza attuale dell'Etna è di 3.326 m.
L'Etna ha una struttura piuttosto complessa a causa della formazione, nel tempo, di numerosi edifici vulcanici che tuttavia in molti casi sono in seguito collassati e sono stati sostituiti, affiancati o coperti interamente da nuovi centri eruttivi. Sono riconoscibili nella "fase moderna" del vulcano almeno 300 tra coni e fratture eruttive. La zona risulta anche a moderato rischio sismico per effetto anche del tremore del vulcano.
Il vulcano è definito “a condotto aperto”, cioè possiede un condotto centrale che mette in comunicazione l’interno della Terra, dove hanno origine i magmi etnei ad oltre 30 km di profondità, con la superficie terrestre. Questo condotto aperto consente al magma di risalire continuamente, liberando le fasi volatili attraverso l’area craterica sommitale dalla quale emerge il caratteristico pennacchio gassoso che si osserva ogni giorno sulla cima dell’Etna.
Il clima e l’ambiente.
Il territorio del vulcano presenta aspetti molto differenti per morfologia e tipologia in funzione dell'altitudine: coltivato fino ai 1000 metri s.l.m. e fortemente urbanizzato sui versanti est e sud, si presenta selvaggio e brullo sul lato occidentale dove predominano le sciare, specie nel versante nord. Poco urbanizzato, ma di aspetto più dolce, il versante nord con il predominio dei boschi al di sopra di Linguaglossa. Il versante est è dominato dall'aspetto inquietante della Valle del Bove sui margini della quale si inerpicano fitti boschi.
Il circondario ha caratteristiche che ne rendono le terre ottime per produzioni agricole, grazie alla particolare fertilità dei detriti vulcanici. La zona abitata e coltivata giunge quasi ai 1000 m s.l.m. mentre le zone boschive arrivano fino ai 1500 metri. Ampie parti delle sue pendici sono comprese nell'omonimo parco naturale. Il versante sud del vulcano è percorso dalla strada provinciale SP92 che si arrampica sulla montagna fino a quasi 2.000 m di quota, generando circa 20 km di tornanti. L'infrastruttura non permette di raggiungere la cima in auto ma, raggiunta la stazione turistica del Rifugio Sapienza, attorno alla Funivia dell'Etna, continua poi il suo percorso per altri 20 km circa in direzione di Zafferana Etnea.
In inverno è presente la neve che, alle quote più elevate, resiste fin quasi all'estate. Le aree turistiche da dove si può partire per le escursioni in cima al vulcano sono raggiungibili agevolmente dai versanti sud e nord-est in cui si trovano anche le due stazioni sciistiche del vulcano (Etna sud e Etna nord). Da quella sud, dallo storico Rifugio Sapienza nel territorio di Nicolosi è possibile ammirare il golfo di Catania e la valle del Simeto. Dalle piste di Piano Provenzana a nord, in territorio di Linguaglossa, sono visibili Taormina e le coste della Calabria. Nelle parti più alte del vulcano il clima è di tipo alpino. Le temperature medie annue variano dai 13-14 °C della base ai 2-3 °C della vetta.
La formazione dei crateri.
I primi riferimenti storici all'attività eruttiva dell'Etna si trovano negli scritti di Tucidide e Diodoro Siculo e del poeta Pindaro; altri riferimenti sono per lo più mitologici. Secondo Diodoro Siculo circa 3.000 anni fa, in seguito a una fase di attività violentemente esplosive dell'Etna, gli abitanti del tempo, i Sicani, si spostarono verso le parti occidentali dell'isola.
I primi studiosi a intuire che il vulcano fosse in realtà costituito da un grande numero di strutture più piccole e variamente sovrapposte o affiancate furono Lyell, Sartorius von Waltershausen e il Gemmellaro; questi riconobbero nell'Etna almeno due principali coni eruttivi, il più recente Mongibello e il più antico Trifoglietto (nell'area della Valle del Bove). Tale impostazione non venne rivista fino agli anni sessanta quando il belga J.Klerkx, sotto la guida di Alfred Rittmann, individuò nella predetta valle una successione di altri prodotti eruttivi precedenti al Mongibello. Studi successivi hanno rivelato una maggiore complessità della struttura che risulta costituita da numerosissimi centri eruttivi con caratteristiche tipologiche del tutto differenti.
L'attività maggioritaria in tempi storici è stata connessa a quella del sistema centrale, che in tempi più recenti ha interessato altre nuove bocche sommitali: il Cratere di Nord-Est, formatosi nel 1911, la Voragine nata all'interno del Cratere centrale nel 1945 e la Bocca Nuova originatasi sempre al suo interno, nel 1968. Nel 1971 si è formato il Cratere di Sud-Est. Infine, nel 2007, è nato il Nuovo Cratere di Sud-Est che in seguito all'intensa e frequente attività stromboliana e alle fontane di lava, tra il 2011 e il 2013 ha assunto dimensioni imponenti raggiungendo l'altezza dei crateri precedenti.
Il Cratere Centrale è l’unica bocca attiva sommitale esistita per almeno un secolo prima del 1911. Un grande cratere dal bordo quasi circolare di circa 500 metri di diametro, certamente profondo molte decine di metri, forse ereditato dal collasso craterico avvenuto sulla cima dell’Etna nel corso della violenta eruzione che nel 1669 ha colpito l’intero fianco meridionale del vulcano.
Il Cratere di Nord-Est nasce nella primavera del 1911, poco a Nord del Cratere Centrale. Questo cratere diventa più attivo nel 1917, quando alimenta un breve episodio di fontana di lava (o parossismo). Successivamente, la sua attività consiste, per lo più, in frequenti esplosioni stromboliane di modesta energia, accompagnate dall’emissione di lava, che nel loro insieme determinano, soprattutto dal 1955 in poi, la progressiva crescita di un imponente cono piroclastico. Dall’estate del 1977 diventano più frequenti gli episodi parossistici, che producono colonne eruttive alte fino a 12 km. Molti di questi parossismi sono accompagnati dall’emissione di colate di lava che raggiungono lunghezze massime di oltre 6 km, come nel marzo 1978. Con l’ultima serie di parossismi (tra il 1995 ed il 1998), il Cratere di Nord-Est raggiunge le sue massime dimensioni, che lo ergono a cima più elevata dell’intero vulcano (circa 3330 metri sul mare, misurato nel 2008). Successivamente la sua attività diminuisce considerevolmente, limitandosi a deboli esplosioni stromboliane intracrateriche. Solo durante le eruzioni di Dicembre 2015 e Maggio 2016 il Cratere di Nord-Est mostra nuovamente un’attività stromboliana più intensa, che alla fine causa anche l’ostruzione pressoché totale del cratere ed il crollo del suo orlo meridionale. Infine, nel Novembre 2017 il fondo del Cratere di Nord-Est sprofonda e si riapre, tornando ad emettere il pennacchio gassoso che lo caratterizza. Oggi, il Cratere di Nord-Est continua ad essere, seppur di poco, il punto più alto dell’Etna (3324 m s.l.m.).
La Voragine nasce nell’autunno del 1945 all’interno del Cratere Centrale e precisamente nella porzione nord-orientale. Questo cratere è attivo meno frequentemente degli altri crateri sommitali, però produce alcuni dei parossismi più violenti della storia recente dell’Etna. I più forti di questi parossismi (1960, 1998, 1999, 2015) producono colonne eruttive alte fino a 15 km. Le ultime eruzioni della Voragine, molto esplosive, avvengono nei primi giorni del Dicembre 2015 (foto sotto) e nel Maggio 2016. I prodotti di queste eruzioni si riversano dentro la limitrofa Bocca Nuova e poi traboccano all’esterno, riversandosi sull’alto fianco occidentale del vulcano. Il 7 Agosto 2016, in prossimità dell’orlo nord-orientale della Voragine, si apre una bocca degassante ancora oggi attiva. Nei primi mesi questa nuova bocca della Voragine è caratterizzata dall’emissione di gas molto caldi (>700 °C) e che diminuiscono di temperatura in coincidenza con la “riapertura” del Cratere di Nord-Est, nel Novembre 2017.
La Bocca Nuova nasce nella primavera del 1968 sul fianco occidentale del Cratere Centrale. Fino alla metà del 1997, la Bocca Nuova è caratterizzata prevalentemente da fenomeni di subsidenza del fondo craterico ed occasionale, modesta attività stromboliana ed effusiva intracraterica, che causano il progressivo allargamento del cratere fino ad un diametro massimo di oltre 350 m. Nel periodo 1997-1999, un’intensa attività eruttiva intracraterica causa il progressivo riempimento della Bocca Nuova, che poi culmina in una violenta eruzione ad ottobre-novembre 1999. Dopo un’ulteriore fase di subsidenza ed approfondimento craterico, dal 2011 la Bocca Nuova torna a produrre attività stromboliana ed effusiva intracraterica, ma di modesta entità. Le forti eruzioni della limitrofa Voragine di Dicembre 2015 e Maggio 2016 scaricano gran parte dei loro prodotti dentro la Bocca Nuova, riempiendola fino all’orlo e occludendone il fondo. Da ottobre 2016, il fondo di questo cratere sprofonda riaprendosi, ed oggi la maggior parte del pennacchio gassoso dell’Etna è prodotto proprio dai gas che emergono dalla Bocca Nuova.
Il Cratere di Sud-Est ed il Nuovo Cratere di Sud-Est.
Il Cratere di Sud-Est inizia la sua attività con la formazione di una piccola bocca che si apre nel corso dell’eruzione del 1971, localizzata sul fianco esterno sud-orientale del Cratere Centrale. Successivamente, tra il 1978 ed il 1979, il Cratere di Sud-Est produce brevi episodi parossistici e modeste effusioni di lava. Questo stile eruttivo prosegue anche nel successivo ventennio, con fontane di lava che formano colonne eruttive alte alcuni chilometri e con l’emissione di colate laviche consistenti (nel 1980, 1985, 1986, 1989, 1998-1999), intervallate da attività stromboliana che persiste per molti mesi (1984, 1996-1998). Dal 2000 in poi aumenta notevolmente la frequenza delle eruzioni (66 fontane di lava ed effusioni laviche fra gennaio ed agosto 2000, 16 fra maggio e luglio 2001, circa 20 nel 2006, 4 nella primavera del 2007), che determinano la rapida crescita dell’apparato eruttivo. Dopo i 4 parossismi di marzo-maggio 2007, l’attività eruttiva si sposta dalla sommità del cono ad una nuova bocca che si apre sul suo basso fianco orientale, che produce tre violenti parossismi fra settembre 2007 e maggio 2008. Dopo una stasi di circa un anno e mezzo, nel gennaio 2011 questa nuova bocca produce un ulteriore fontana di lava, seguita da varie decine di altri episodi stromboliani e parossistici che determinano il rapidissimo accrescimento di un nuovo, imponente cono piroclastico denominato Nuovo Cratere di Sud-Est. In soli quattro-cinque anni questo nuovo cratere sommitale raggiunge le stesse dimensioni che il “vecchio” Cratere di Sud-Est aveva assunto nei precedenti quaranta anni. Dalla fine del 2013 l’attività del Nuovo Cratere di Sud-Est diviene meno violenta e frequente.
Le eruzioni notevoli.
In genere le eruzioni dell'Etna pur fortemente distruttive delle cose, non lo sono per le persone se si eccettuano i casi fortuiti come quello di Bronte del 25 novembre del 1843 in cui a causa di una falda freatica la lava esplose colpendo una settantina di persone delle quali persero la vita almeno 36 o di palese imprudenza come nel 1979 quando un'improvvisa pioggia di massi uccise nove turisti, avventuratisi fino al cratere apparentemente spento, e ne ferì un'altra decina. Le fonti della memoria storica ricordano centinaia di eruzioni di cui alcune fortemente distruttive.
L'eruzione più lunga a memoria storica è quella del luglio 1614. Il fenomeno durò ben dieci anni ed emise oltre un miliardo di metri cubi di lava, coprendo 21 chilometri quadrati di superficie sul versante settentrionale del vulcano. Le colate ebbero origine a quota 2550 e presentarono la caratteristica particolare di ingrottarsi ed emergere poi molto più a valle fino alla quota di 975 m s.l.m., al di sopra comunque dei centri abitati. Lo svuotamento dei condotti di ingrottamento originò tutta una serie di grotte laviche, visitabili, come la Grotta del Gelo e la Grotta dei Lamponi.
Nel 1669 avvenne l'eruzione più conosciuta e distruttiva, che raggiunse e superò, dal lato occidentale, la città di Catania; ne distrusse la parte esterna fino alle mura, circondando il Castello Ursino e superandolo creò oltre un chilometro di nuova terraferma. L'eruzione fu annunciata da un fortissimo boato e da un terremoto che distrusse il paese di Nicolosi e danneggiò Trecastagni, Pedara, Mascalucia e Gravina. Poi si aprì un'enorme fenditura a partire dalla zona sommitale e, sopra Nicolosi, si iniziò l'emissione di un'enorme quantità di lava. Il gigantesco fronte lavico avanzò inesorabilmente seppellendo Malpasso, Mompilieri, Camporotondo, San Pietro Clarenza, San Giovanni Galermo e Misterbianco oltre a villaggi minori dirigendosi verso il mare. Si formarono i due coni piroclastici che sono denominati Monti Rossi, a Nord di Nicolosi. L'eruzione durò 122 giorni ed emise un volume di lava di circa 950 milioni di metri cubi.
Nel 1892 un'altra eruzione portò alla formazione, a circa 1800 m di quota, del complesso dei Monti Silvestri.
Nel 1928, ai primi di novembre, ebbe inizio l'eruzione più distruttiva del XX secolo. Essa portò, in pochi giorni, alla distruzione della cittadina di Mascali. La colata fuoriuscì da diverse bocche laterali sul versante orientale del vulcano e minacciò anche Sant'Alfio e Nunziata.
L'eruzione del 5 aprile del 1971 ebbe inizio a quota 3050 da una voragine dalla quale l'emissione di prodotti piroclastici formò il cono sub-terminale di Sud-est. Vennero distrutti l'Osservatorio Vulcanologico e la funivia dell'Etna. Ai primi di maggio si aprì una lunga fenditura a quota 1800 m s.l.m. che raggiunse Fornazzo e minacciò Milo. La lava emessa fu di 75 milioni di metri cubi.
L'eruzione del 1981 ebbe inizio il 17 marzo e si rivelò abbastanza minacciosa: in appena poche ore si aprirono fenditure da quota 2550 via via fino a 1140. Le lave emesse, molto fluide, raggiunsero e tagliarono la Ferrovia Circumetnea; un braccio si arrestò appena 200 metri prima di Randazzo. Il fronte lavico tagliò la strada provinciale e la Ferrovia Taormina-Alcantara-Randazzo, proseguendo fino alle sponde del fiume Alcantara. Si temette la distruzione della pittoresca e fertile vallata, ma la furia del vulcano si arrestò alla quota di 600 m.
Il 1983 è da ricordare oltre che per la durata dell'eruzione, 131 giorni, con 100 milioni di metri cubi di lava emessi (che distrussero impianti sciistici, ristoranti, altre attività turistiche, nuovamente la funivia dell'Etna e lunghi tratti della S.P. 92), anche per il primo tentativo al mondo di deviazione per mezzo di esplosivo della colata lavica. L'eruzione si presentava abbastanza imprevedibile, con numerosi ingrottamenti ed emersioni di lava fluida a valle, che fecero temere per i centri abitati di Ragalna, Belpasso e Nicolosi.
Il 14 dicembre del 1991 ebbe inizio la più lunga eruzione del XX secolo (durata 473 giorni), con l'apertura di una frattura eruttiva alla base del cratere di Sud-est, alle quote da 3100 m a 2400 m s.l.m. in direzione della Valle del Bove. L'esteso campo lavico ricoprì la zona detta del Trifoglietto e si diresse verso il Salto della Giumenta, che superò il 25 dicembre 1991 dirigendosi verso la Val Calanna. La situazione fu giudicata pericolosa per il comune di Zafferana Etnea e venne messa in opera una strategia di contenimento concertata tra la Protezione civile e il Genio dell'Esercito. In venti giorni venne eretto un argine di venti metri d'altezza che, per due mesi, resse alla spinta del fronte lavico. La tecnica fu quella dell'erezione di barriere in terra per mezzo di lavoro ininterrotto di grandi ruspe ed escavatori a cucchiaio.
Questa tecnica in seguito si rivelerà efficace nel tentativo di salvataggio del rifugio Sapienza e della stazione turistica di Etna Sud nel corso dell'eruzione 2001, e sarà oggetto di studio da parte di équipe internazionali, tra cui esperti giapponesi. Tutto si rivelò efficace nel rallentare il flusso lavico guadagnando tempo ma ancora una volta non risolutivo in caso di persistenza dell'evento eruttivo.
“Tutto ciò che la natura ha di grande,
tutto ciò che ha di piacevole,
tutto ciò che ha di terribile,
si può paragonare all’Etna,
e l’Etna non si può paragonare a nulla.”
(Dominique Vivand Denon, Voyage en Sicile)